Un nuovo inizio per la responsabilità sociale d’impresa
La responsabilità sociale d’impresa deve essere adottata nei confronti di tutti gli stakeholders: clienti, dipendenti, fornitori, azionisti e comunità nelle quali le imprese operano. Un’affermazione molto forte per i tempi di oggi, anche se apparentemente scontata.
Come ormai noto il 19 agosto scorso, la Business Round Table (BRT), una fra le più note associazioni che raggruppa manager apicali delle leading corporations USA (quali Amazon, Google, General Motors, JPMorgan, Johnson & Johnson, Apple, Boeing, etc) ha reso pubblico un documento sottoscritto da circa 200 CEO in cui affermano il loro impegno a:
- “investire nei nostri dipendenti” compensandoli equamente e puntando sulla formazione;
- promuovere “la diversità e l’inclusione, la dignità e il rispetto”;
- “trattare in modo equo ed etico con i nostri fornitori”;
- “supportare le comunità in cui lavoriamo”, proteggendo l’ambiente e adottando pratiche sostenibili;
- “generare valore a lungo termine per gli azionisti che forniscono il capitale che consente alle aziende di investire, crescere e innovare” sostenendo anche l’impegno alla trasparenza.
Queste parole segnano un evidente punto di discontinuità all’interno della cultura liberale e di mercato che, finora, ha sempre sostenuto e insegnato che l’impegno dell’impresa è innanzitutto nei confronti dei propri azionisti: produrre utili, distribuire dividendi, massimizzare il valore d’impresa per gli shareholders. Poco spazio quindi alla responsabilità sociale d’impresa.
Sono solo parole? È una retorica interessata, come hanno scritto autorevoli commentatori internazionali (es. Larry Summers sul FT), derubricabile a dichiarazioni finalizzate a un’operazione di marketing?
Le scelte e gli investimenti avranno un effettivo seguito dopo queste dichiarazioni? Il tempo come sempre sarà galantuomo nel rivelarcelo. Ma una cosa è certa: nei 22 anni di vita del BRT (dal 1997 a oggi) il ‘mantra’ del loro purpose statement è sempre stato creare valore per gli azionisti, cioè profitto, lasciando ai margini i temi di corporate social responsibility. Non a caso il Roosevelt Institute ha rilevato che negli ultimi 15 anni le aziende Usa hanno spedito il 94% dei profitti agli azionisti.
La nuova impresa sostenibile: al centro la persona
Affermare che la responsabilità sociale d’impresa debba essere al primo posto è una dichiarazione rivoluzionaria, in particolare nel contesto economico americano che denota la presa di coscienza di una concezione del capitalismoche segna il passo sia dal punto di vista di un’insoddisfazione culturale sempre più diffusa sia dal punto di vista della competitività nel medio lungo termine delle aziende stesse.
“I datori di lavoro stanno investendo nei lavoratori e nelle comunità perché sanno che questo è l’unico modo per avere successo a lungo termine”, ha dichiarato infatti Jamie Dimon, CEO di JPMorgan Chase & Co. e presidente della BRT.
Non buonismo esteriore dunque ma realismo per la competitività del business dell’azienda. “Il successo a lungo termine delle imprese e dell’economia statunitense dipende dagli investimenti delle aziende nella sicurezza economica dei propri lavoratori e delle comunità all’interno delle quali esse operano” si legge ancora sul sito dell’associazione.
Ancora il documento afferma nella sua parte introduttiva che “le aziende giocano un ruolo vitale nell’economia attraverso la creazione di posti di lavoro…”. È un fatto estremamente significativo che la creazione di posti di lavoro sia messo al primo posto tra le funzioni vitali di un’impresa, cosa affatto scontato come più volte denunciato da studiosi di management come Clayton Christensen di Harvard. E ancora si individua un impegno educativo e formativo: “Per creare e sostenere un’economia fiorente per tutti gli Americani, le imprese all’avanguardia sanno di avere un ruolo nel preparare le generazioni future con conoscenze e abilità cruciali. Tutto considerato, gli studenti di oggi sono i lavoratori, i pensatori, i leaders, gli innovatori, coloro che si daranno da fare domani.”
Responsabilità sociale d’impresa: perché?
Ma se il cambiamento richiesto, virando verso una responsabilità sociale d’impresa più consapevole e incisiva, è così radicale tanto da riconoscere che il solo guadagno e il profitto non bastano più, quale può essere il fondamento motivazionale di una tale svolta che arriva a toccare ogni persona e ogni aspetto dell’organizzazione? A che livello si pone la natura del tema impresa sostenibile?
Si tratta certamente di una questione non risolvibile con tecniche o soluzioni formali e superficiali. Il livello toccato è culturale e antropologico e dunque educativo. Non a caso con la Laudato Sì, nel solco della tradizione della dottrina sociale della Chiesa, e in vari interventi culminati nella storica intervista al Sole 24 Ore del 7 settembre 2018, Papa Francesco parla esplicitamente di sostenibilità, responsabilità sociale, ecologia integrale, economia circolare, dando una chiave di lettura molto chiara.
Il punto fondamentale è rimettere al centro dell’economia la persona, la persona come soggetto relazionale dentro una comunità e un ambiente, il cui lavoro genera valore nel lungo termine: “non sono i soldi a generare soldi, ma il lavoro”, ha detto Papa Francesco, individuando così sinteticamente la radice culturale del tarlo che ha portato alla finanziarizzazione dell’economia, esplosa con la grande crisi del 2008 e non ancora superata.
È sostenibile ciò che regge e dà frutti positivi nel tempo, quindi inevitabilmente lo è ciò che segue un approccio adeguato alle esigenze ultime e ‘strutturali’ della persona, in funzione di tutti gli stakeholder e della realtà (mercato, comunità e ambiente) in cui opera. Tale lettura rappresenta anche la chiave interpretativa più essenziale dei 17 Sustainable Development Goals dell’agenda ONU 2030 e sarà tema dell’evento ‘Economy of Francesco’ che si svolgerà ad Assisi a fine marzo 2020 dove il Papa ha invitato soprattutto i giovani a “fare un ‘patto’ per cambiare l’attuale economia e dare un’anima all’economia di domani”.