Le amministrazioni pubbliche e, in particolare, il Ministero dello sviluppo economico, mettono a disposizione vari strutture e strumenti per sostenere le aziende “in difficoltà”.

Particolare è il rilievo della Struttura per le crisi di impresa del Ministero dello Sviluppo Economico. Le forme di intervento predisposte sono diverse; in genere, manca un’esplicita responsabilizzazione sulle soluzioni che dovrebbero invece emergere dal confronto tra azienda e sindacati.

Prima di addentrarmi nel ragionamento, ritengo utile proseguire nell’esegesi.

Cosa si intende per “aziende in difficoltà”? A ben vedere lo spettro è davvero ampio: l’azienda, più o meno sana, ancora vitale sul mercato ma che è costretta a riorganizzarsi e/o ristrutturarsi per poter continuare a competere con successo; l’azienda sovra- indebitata che vede un progressivo impoverimento del portafoglio clienti; l’azienda in procedura concorsuale, con o senza potenziale di mercato; l’azienda oggetto di un’acquisizione e conseguenti esuberi.

Si parla anche di “aziende sane ma…” per cui lo stato di “difficoltà” non solo presenta diverse gradazioni, ma è da relativizzare. Spingendomi ancora oltre, può parlarsi di difficoltà in presenza di uno stabilimento che si decide di chiudere per delocalizzazione, quando i risultati dell’azienda sono positivi e gli azionisti remunerati?

Difficile trovare un comune denominatore.

 La Struttura e gli strumenti

Aziende, lavoratori, media e opinione pubblica tendono ad attribuire alla Struttura un ruolo salvifico ben al di là della semplice mediazione e messa a disposizione di strumenti.

L’esercizio non è né semplice né agevole e chi opera quotidianamente all’interno della Struttura lo sa bene.

Allo stesso tempo mi chiedo quanto la Struttura sia attrezzata di fronte a tanta complessità per potersi adeguatamente rapportare con la situazione nel suo insieme e nel confronto con le singole parti. Mi riferisco al fatto che la Struttura dovrebbe poter disporre di informazioni sui singoli comparti (è un mercato maturo, di potenziale, destinato ad esaurirsi; come si comportano i competitors?), sul posizionamento e l’attività nel mercato domestico e internazionale dell’azienda (guadagna o perde quote di mercato?), sugli esiti degli accordi succedutisi nel tempo tra azienda e organizzazioni sindacali.

Sintetizzerei con la necessità di maturare ex ante una visione indipendente e quanto più oggettiva della “situazione di difficoltà” e del contesto interno ed esterno nella quale si colloca l’azienda, così da consentire alla Struttura di esercitare il ruolo di guida consapevole e per ciò stesso critica di confronti troppo spesso monopolizzati dalla narrazione aziendale e dalle posizioni pregiudiziali del sindacato.

Una soluzione potrebbe essere quella di dedicare un team ad hoc, non importa se composto da risorse interne o da consulenti esterni. L’importante è che disponga delle competenze e professionalità richieste dallo scopo.

Prima di addentrarmi sull’argomento “strumenti”, ritengo utile un richiamo al quadro macro-economico italiano e alla capacità dell’Italia di incoraggiare gli investimenti degli operatori domestici e di intercettare gli investimenti dall’estero.

Dire che la situazione è critica è fare una fotografia piuttosto aderente della realtà e la stessa istituzione di una Struttura per le Crisi d’Impresa non lascia spazio a visioni più ottimistiche.

Quanto agli “strumenti per sostenere le aziende in difficoltà”, non mancano gli istituti attraverso cui favorire un rilancio fondato sulla sostenibilità economica o su percorsi di reindustrializzazione, così come per sostenere il reddito delle persone, riqualificarne le skills e favorirne la rioccupazione.

Funzionano? Con difficoltà.

Nella pratica non pochi sono i casi nei quali la messa in campo degli strumenti risulta incerta, dilatata nella tempistica, se non addirittura non praticabile.

La stratificazione di norme ha generato una giungla cui occorrerebbe metter mano avviando un processo di riordino che approdi ad un Testo Unico delle politiche di sostegno all’industria” anche per rendere applicabili leggi che oggi non lo sono perché non finanziate o perché il regolamento attuativo è assente o distorto. Ulteriori ostacoli derivano da regole europee nate in un contesto storico profondamente diverso da quello attuale e che condizionano fortemente la possibilità di sostegno al di fuori di determinati territori ( ritenuti svantaggiati) , quando invece il problema oggi non sono i territori ma l’intero Paese, per cui gli interventi dovrebbero poter essere attivati sul caso specifico indipendentemente dalla geografia.

Le regole però sono altre e sarebbe già un passo in avanti far si che gli strumenti disponibili possano tradursi in sostegni concreti in tempi ragionevoli. La distribuzione delle competenze tra amministrazione centrale e amministrazioni locali è talvolta motivo di rallentamento. La variabile tempo è spesso sottovalutata; viviamo tempi di spiccata volatilità dove le decisioni assunte oggi posso divenire obsolete a distanza di un semestre.

Passando agli Istituti come Invitalia, CDP e Mediocredito, lo spazio di manovra di cui godono esclude la possibilità di ricorrervi in presenza di bilanci in perdita e sofferenze finanziarie. Senza pretendere di modificarne le regole che governano la partecipazione in capitale e l’erogazione di credito, ritengo debba essere predisposto un veicolo nuovo, un po’ venture capital, in grado di intervenire nelle situazioni precluse ai suddetti istituti.

E’ questo il quadro all’interno del quale la Struttura è chiamata ad operare per favorire il raggiungimento della migliore o della meno dolorosa delle soluzioni. Con ciò intendo sottolineare che le aspettative riposte nei confronti della Struttura risultano spesso eccessive specie se rapportate alla reale efficacia degli strumenti a disposizione e tra questi includo anche la conoscenza approfondita del contesto nel quale la situazione di crisi è maturata.